dott. Marco Mengoli Medicina 1 Ospedale Ramazzini Carpi
Carissimo Prof,
ora che se n’è andato per l’ultimo viaggio si affollano nella mia mente tanti ricordi, tante immagini di quasi vent’anni trascorsi assieme al San Sebastiano.
Io, arrivato nel lontano 1980, fui subito accolto benevolmente, in un rapporto di stima e simpatia reciproca. Dall’assunzione in poi, con me e tutti gli altri collaboratori, si dimostrò sempre benevolmente esigente, stimolandoci ad un aggiornamento costante (con l’esempio personale) e ad aprire nuove strade che arricchissero il patrimonio culturale e professionale del nostro ospedale nelle singole specialità che ognuno di noi coltivava.
Teneva moltissimo alla serietà della visita per cui, non raramente, si poneva a gambe leggermente divaricate nel mezzo del corridoio per far si, con atteggiamento burbero e risoluto, che qualche parente, ritardatario o distratto, lasciasse rapidamente il campo alla equipe medico – infermieristica.
Alla fine della visita, pur non essendo un assiduo frequentatore della cucinetta, non potevo rinunciare al caffè con il Primario perchè, oltre ai ripensamenti e alle riflessioni sui casi appena visti, bastava dare un piccolo stimolo iniziale per scatenare la foga culturale del Prof e apprendere attraverso curiosità, aneddoti, notizie un sacco di cose relativamente a letteratura, arte, musica.
Tornando ai cd “casi clinici”, cioè alle persone che erano affidate alle nostre cure, un altro aspetto che ho sempre ammirato nel Prof, fino agli ultimi giorni della sua attività, era il suo voler capire fino in fondo, voler sviscerare i casi più difficili e non solo nel campo della sua prediletta cardiologia, ma anche nelle “nostre specialità”; eravamo spesso noi ad arrenderci molto prima di lui che continuava, fino all’ultimo, a stimolarci, pungolarci con ipotesi, proposte di nuovi esami, magari dopo aver letto, con estrema attenzione, gli ultimi articoli della letteratura scientifica (e sottolineato ed evidenziato le cose più importanti in quel personalissimo modo, facendo annotazioni a margine con quella singolarissima scrittura).
Nonostante a volte, al sopraggiungere dei tempi della aziendalizzazione, fosse preoccupato dal “far quadrare i conti” e, soprattutto quando vedeva allungarsi pericolosamente la durata di degenza media, ogni tanto se ne uscisse, con “l’espressione da duro”, in frasi del tipo: “Oggi, se i famigliari non vengono a prenderla, chiamiamo i carabinieri per dimettere la Signora Maria…” bastava solo una mia parola sulle disagiate condizioni, sulle problematiche familiari, sui problemi del figlio, del fratello, dello zio, del cugino per recedere dai suoi fieri propositi dando… la colpa a me e al mio buonismo. Ma forse, lo spero, pensava fossi buono davvero perchè nei casi più disperati: zingari, alcolisti, barboni ecc., categoria che allora veniva tutta ricompresa nella dizione “amici di Mengoli”, era sempre disposto a delegare a me la gestione del caso, tollerando anche le “ingerenze” di “pretacci di strada” come Don Alberto o Don Daniele, dimostrando, di fatto, un interesse e una passione che mi sorprendevano.
E così, assieme, abbiamo contribuito alla realizzazione di qualche quartino di miracolo: pochi giorni fa ho incontrato quel signore che beveva quantità inimmaginabili di alcolici (mi aveva colpito ad esempio che nascondesse bottiglioni di vino in tutti i canali di irrigazione vicino alla casa in cui risiedeva), aveva ormai perso il lavoro, distrutto la sua famiglia e… adesso sta bene, è un uomo felice, molto unito a moglie e figlia e non c’è nemmeno stato bisogno del fegato “nuovo” che era già pronto per lui.
Ma forse, penso, credeva fossi buono davvero perchè quando mi regalò una copia del volumetto sulla morte improvvisa scrisse una dedica che mi commosse e mi fece un immenso piacere : “A Marco cui non è ignota la pietas” (naturalmente mi spiegò anche a lungo le differenze nella lingua latina fra pietas e caritas).
Un’ altra lezione che il Prof mi ha dato è stata quella sul valore dell’amicizia… purtroppo non sono mai riuscito a coltivare con nessuno amicizie così prolungate e intense come quella del suo gruppo: Rivi, Merighi, Fontanini, Prati. Vederli assieme insegnava molto sul valore di quel sentimento così profondo che è l’amicizia… (per dirla con Sandor Marai “un sentimento più forte di tutto il resto… il rapporto più nobile che esista fra gli esseri umani… la relazione più intima che esista nella vita… Forse per questo è talmente rara”).
Un altro insegnamento ancora: la gratitudine e la concreta riconoscenza verso chi ci è stato maestro. Così quel professore del liceo, ormai vecchio, solo e malato aveva trovato in Lei la consolazione di un assiduo e devoto discepolo fino agli ultimi giorni della sua vita. Con la fede, per quel po’ che ne posso dire, aveva un rapporto particolare, come di chi vorrebbe capirne di più, in modo quasi scientifico, ma si rende conto che non è possibile.
Citava, sorridendo, l’episodio di una volta in cui si trovava a Roma per un congresso e il sacerdote all’ omelia se ne uscì dicendo: “le letture di questa domenica sono molto difficili e, a dir la verità, non ci ho capito molto neanch’io”… E ripeteva spesso che nella Bibbia di passi “difficili” ce n’erano parecchi ma, in particolare: “quattro o cinque cose da chiedere a San Pietro” quando avrebbe avuto la possibilità di incontrarlo, se Le era proprio segnate ed era molto curioso di sentire le risposte.
Grazie Prof per averci insegnato tanto senza farcelo pesare con lo stile di chi diceva: “Non insegno mai ai miei allievi, cerco solo di metterli in condizione di poter imparare“. E noi, suoi allievi, siamo stati davvero medici fortunati perchè abbiamo goduto a lungo del bene prezioso e ormai raro di un vero maestro.
Grazie Prof per averci trasmesso la passione della lettura, dello studio, dello scrivere. Sono certo che, da assiduo frequentatore della fornitissima biblioteca del Paradiso, troverà il modo di continuare ad inviare i suoi bellissimi articoli di Storia della Medicina a “Lo Spallanzani” (Gigi e Tiziano li aspettano!).
Grazie Prof per averci insegnato a guardare bonariamente e con delicata ironia alle debolezze e piccolezze degli uomini consapevole che “nella creazione degli uomini i risultati riflettono solo in parte le buone intenzioni del Creatore“.
Grazie Prof perchè in fondo, citando ancora Albert Einstein, la sua ricerca spirituale mirava all’essenziale: “Voglio conoscere il pensiero di Dio, tutto il resto sono dettagli“.
Grazie, grazie di tutto Prof: della talora faticosa ricerca dell’umiltà, di chi sa di sapere molte cose ma soprattutto “sa di non sapere“, del buon senso clinico, della pietas/caritas e “compagnia bella” e, infine, mi raccomando, appena vede San Pietro non dimentichi di chiedere quelle 4 – 5 cose così quando ci rivedremo potrà spiegarle anche a me…