La causa di servizio nella Pubblica Amministrazione: aggiornamenti

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Relazione del dott. Francesco Consigliere
Gen. Medico Medaglia d’Oro alla Sanità

La causa di servizio nella Pubblica Amministrazione richiede oggi un ripensamento su quelle che sono state le innovazioni, dal momento che occorre prendere atto della competenze degenerazione del sistema, deteriorato ulteriormente con la divisione delle e con la spaccatura degli iter valutativi.

La 461/2001 rappresenta oggi, purtroppo solo per alcuni, un miglioramento del sistema della Pensionistica di Privilegio e dell’Equo Indennizzo, ma in effetti aver staccato la valutazione del danno dalla valutazione del nesso è stato produttivo solo di ingorghi burocratici infiniti e di autentiche ingiustizie.

La anomalia, poi, rappresentata dal ritenere che il danno alla salute del dipendente statale sia da trattarsi in maniera simile a quello della malattia professionale di competenza INAIL, richiede che molti, troppi incroci normativi debbano essere risolti; questo senza considerare le competenze ripartite in sede giurisdizionale che trattano la stessa situazione con valutazioni assolutamente dissimili con autentica strage della equità.

Con l’espressione “causa di servizio” si intende il nesso causale che esiste tra l’assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto d’impiego e l’alterazione dello stato di salute del dipendente.

Quest’ultimo, come sancito dall’art. 2 del DPR 461/01, può consistere in una lesione, in una infermità, in un aggravamento di infermità o lesione preesistente o nell’evento morte.

Riconoscere che una certa infermità o una certa menomazione sono state contratte in servizio e che dipendono da causa di servizio costituisce il presupposto perché all’interessato possano essere concessi i benefici di legge.

I presupposti per il riconoscimento di tali benefici (equo indennizzo, pensione privilegiata, ecc.) sono:

  • il rapporto di pubblico impiego;
  • il rapporto di causalità delle infermità, le menomazioni, ecc., contratte dal dipendente, col servizio da questi prestato;
  • l’assenza di dolo o di colpa grave da parte del dipendente nella causazione dell’evento dannoso, per il quale viene chiesto il riconoscimento.

Inoltre, quando i pubblici dipendenti sono addetti all’espletamento di una delleattività già citate nel TU 1124/65, essi sono anche soggetti all’assicurazione obbligatoria INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, poiché nei confronti del lavoratore lo Stato e gli altri enti pubblici assumono la veste di datore di lavoro.

E’ evidente però che non potranno essere cumulativi di eventuali diversi benefici derivanti dalla stessa infermità o menomazione.

Per ammettere il nesso di causalità, va ricordato, che il fatto di servizio deve costituire la causa ovvero la concausa efficiente e determinante dell’insorgenza e/o aggravamento della lesione o infermità, che la semplice occasione di servizio esclude il nesso di causalità e che il dolo o la colpa grave interrompono il nesso di nesso di causalità.

Costituiscono fatti di servizio:

  • quelli derivati dall’adempimento degli obblighi di servizio;
  • il servizio eseguito dietro specifico ordine;
  • il servizio eseguito spontaneamente in forza dei doveri inerenti al proprio ufficio;
  • qualunque fatto avente finalità di servizio, anche se svolto fuori del luogo e del tempo vero e proprio del servizio (es.: infortunio in itinere).

Occorre, in ogni caso, la prova del fatto di servizio.

E’ necessario ricordare che l’accertamento della dipendenza da causa di servizio di un’infermità o lesione, e della relativa menomazione, non si ricollega al mero insorgere dell’infermità o della lesione durante il servizio medesimo (criterio cronologico) ma richiede espressamente che uno specifico fatto di servizio ovvero un susseguirsi di fatti di servizio, che devono essere preliminarmente ben definiti e documentati, costituenti adempimento di un obbligo di servizio, siano stati, con stretto nesso di causalità materiale, la causa ovvero la concausa efficiente e determinante dell’infermità stessa (criterio etiopatogenetico) nonché del suo aggravamento e/o della sua più celere e grave evoluzione.

Ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un fatto di servizio, cioè di un fatto subito da un dipendente a causa e per effetto dell’adempimento del servizio affidatogli e delle mansioni svolte o dell’ufficio cui è preposto, occorre valutare in concreto il servizio in questione, la condotta del soggetto nell’adempimento del suo dovere, per stabilire se tra il servizio e l’evento dannoso patito dal dipendente sussista o meno un rapporto di causalità, non essendo sufficiente che il danno stesso sia stato riscontrato o che si sia semplicemente manifestato durante il servizio.

Per quanto concerne la procedura a domanda, il dipendente, civile o militare, o gli aventi diritto in caso di sua morte, devono presentare al Comandante del corpo o al Capo ufficio oppure all’Autorità da cui gerarchicamente il lavoratore dipende, una richiesta scritta denunciando specificamente:

  • la natura della o delle infermità;
  • le cause;
  • le circostanze che concorsero a produrla;
  • le conseguenze che ne derivano sull’idoneità al servizio.

A tal fine la domanda dovrà essere corredata di apposita documentazione medica (certificazioni, cartelle cliniche, esami di laboratorio, radiografie, ecc.).

Fondamentale è conoscere il procedimento operativo che guida l’approccio medico-legale al riconoscimento del rapporto causale e sapere quali sono gli elementi valutativi che vengono presi in considerazione:

  • lo stato anteriore del dipendente;
  • i fatti di servizio ed il rischio di servizio cui questo è stato esposto;
  • la modificazione peggiorativa dell’integrità psicofisica (danno) che ne è derivato secondo una chiara correlazione etiologica e/o patogenetica.

DPR 461/01: Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie.

Le finalità semplificative e di riordino perseguite dal  DPR 461/01 possono essere così puntualizzate:

  • uniformità delle procedure per tutti i soggetti destinatari;
  • riduzione dei tempi di attesa (Tempi comunque difficilmente rispettabili in considerazione dell’organizzazione e delle risorse delle CMO deputate a tali accertamenti. Per rispettare i termini cronologici si è così estesa la competenza medico legale anche alle ASL e alle CMV del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Si è dovuto aspettare tuttavia il decreto attuativo emanato solo il 12/02/04);
  • unicità dei pareri espressi nel corso di tutto l’iter procedimentale.

Tali obiettivi appaiono essere stati perseguiti in maniera sostanzialmente efficace.

Il DPR 461/01 ha introdotto il principio dell’ “unicità dell’accertamento”, ossia: il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio costituisce accertamento definitivo anche ai fini del trattamento pensionistico privilegiato ed ai fini dell’equo indennizzo.

La pluralità e sovrapposizione dei giudizi è stato uno dei bersagli principali del DPR 461/01  e rappresenta l’obiettivo più qualificante raggiunto dalla normativa. Fino alla sua entrata in vigore (22/01/01), in merito alla medesima menomazione, sia in termini di dipendenza da causa di servizio che di valutazione del danno, potevano esprimersi: la CMO, il CPPO (Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie), il CML (Collegio Medico Legale presso il Ministero della Difesa), l’UML (Ufficio Medico Legale del Ministero della Sanità) i diversi organi di ricorso giudiziario. Tutti anche contraddittoriamente, si esprimevano su tutto, ponendo di volta in volta in discussione, il nesso di causalità (ma anche la ascrivibilità delle menomazione) «ai fini»dello specifico beneficio richiesto.

Attualmente alla CMO ed alle altre Commissioni mediche alternative (art. 9) competono in via esclusiva i giudizi circa:

  • la diagnosi dell’infermità o lesione, comprensiva possibilmente dell’esplicitazione eziopatogenetica;
  • la determinazione della data di conoscibilità o stabilizzazione dell’infermità da cui derivi una menomazione, nonché delle conseguenze sull’integrità fisica,psichica o sensoriale e sull’idoneità al servizio;
  • L’ascrivibilità della menomazione riscontrata (anche con riferimento a precedenti menomazioni già riconosciute dipendenti da causa di servizi).

Al Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, operante presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (ex CPPO) è riservata (art. 11): «l’esclusività del giudizio circa la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto  causale tra i fatti e l’infermità o lesione» (parere obbligatorio e vincolante).

Tale netta ripartizione di valutazione impedisce qualsivoglia sovrapposizione e contraddittorietà di giudizi. Al contempo non si può sottacere il rammarico per il fatto che alle commissioni mediche sia stato sottratto il giudizio sul nesso di causalità tra infermità/lesione e fatti di servizio, decisione che presta il fianco a non poche critiche.

La valutazione del nesso causale tra un dato biologico ed un evento di interesse giuridico costituisce, infatti, uno dei compiti fondamentali della medicina legale. L’analisi dei criteri che ne consentono un corretto inquadramento, demandata ad un organo di composizione culturale eterogenea, dove non vi è peraltro osservazione diretta del caso concreto, può indurre ad una dispersione di fondamentali elementi di giudizio anche in considerazione dell’approssimazione del concetto di concausa efficiente e determinante di cui all’art. 64 del DPR 1092/73.

Talvolta, infatti, per dirimere ogni dubbio sull’etiopatogenesi di una malattia occorre eseguire accertamenti tesi ad escludere determinate altre cause e/o a consentire di ponderare il peso dei diversi fattori causali nonché delle condizioni e delle concause preesistenti. Il Comitato di Verifica potrebbe anche effettuare tutto ciò ma sempre e solo in via indiretta attraverso i «supplementi di accertamenti sanitari» previsti (art. 11, c. 4) per il tramite della CMO o di una delle Commissioni mediche alternative (art. 9) «scelta in modo da assicurare la diversità dell’organismo, rispetto a quello che ha reso la prima diagnosi».

Non a caso l’art. 6 del DPR 461/01  (comma 1) prevede che la commissione ponga una diagnosi «comprensiva possibilmente anche dell’esplicitazione eziopatogenetica», proprio al fine di aiutare il Comitato di verifica nell’individuazione del nesso causale tra i fatti di servizio e la patologia nosologicamente, qualora possibile, ben inquadrata ovvero l’infermità /lesione diagnosticata.
E’ senz’altro positiva la previsione secondo la quale «Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità o lesione costituisce accertamento definitivo anche nell’ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo e di trattamento pensionistico di privilegio» (art. 12 – Unicità di accertamento).

Tuttavia, secondo alcuni non sembra ottimale la scelta di ripartire in sedi diverse, non perfettamente omogenee e poco comunicanti fra loro, giudizi medico-legali così intimamente correlati quali, da un lato, la diagnosi della infermità/lesione e l’ascrivibilità della conseguente menomazione e, dall’altro, l’analisi del rapporto di causalità con i fatti di servizio.

Le attività della COMMISSIONE MEDICA consistono nel:

  • prendere visione dell’istruttoria, richiedendo, ove è necessario, un ulteriore supplemento;
  • sottoporre il dipendente a visita, raccogliendo i dati anamnestici ed obiettivi e sottoponendolo ad eventuali accertamenti specialistici e strumentali o di laboratorio;
  • diagnosi dell’infermità o lesione, comprensiva possibilmente anche dell’esplicitazione eziopatogenetica (art. 6 del DPR 461/01 comma1) ciò anche al fine di facilitare il Comitato di verifica nella individuazione del nesso causale tra i fatti di servizio e la patologia nosologicamente, qualora possibile, ben inquadrata ovvero l’infermità/lesione diagnosticata;
  • definizione del momento di conoscibilità della patologia;
  • accertamento delle conseguenze sull’integrità fisica, psichica o sensoriale;
  • giudizio sull’idoneità al servizio.

Per la valutazione del danno è oramai consolidato il ricorso ad un regime tabellare che permetta la quantificazione delle singole infermità. In più campi tale regime si è concretizzato, oltre che sulla base di vari apporti scientifici, anche per norme determinate in tema di  invalidità civile (D.M. 5 febbraio 1992), di invalidità del lavoro (D.Lgs. 38/2000) e di RCA (D.M. 3 luglio 2003 (micropermanentei (1-9%)) e D.Lgs. 209/2005 art. 138 (macropermanenti (10-100%))).

Nel campo della pensionistica di privilegio e quindi dell’equo indennizzo, vige ancora un regime tabellare che è un archeotipo di incongruenze, iniziato con la normativa del (R.D. 21.02.1895) e sfociato nelle tabelle del (D.P.R 834/1981 e Legge 656/1986). Va notato che tale tabella (analizzata in seguito) fa riferimento alla Pensionistica di Guerra e che si basa sull’assunto di riferirsi alla capacità lavorativa generica quando la Corte di Cassazione

“il danno alla salute, e non già l’incapacità lavorativa generica, rappresenta l’unità di misura che deve  potere essere applicata al fine del riconoscimento dell’indennizzo. Non avrebbe senso, infatti, fare riferimento alla lesione alla salute e misurare l’entità delle conseguenze che da essa derivano sulla base della riduzione della capacità lavorativa o altri criteri ancorati all’attitudine a produrre reddito, dovendosi, invece, affermare l’identità concettuale tra menomazione dell’integrità psico-fisica… e danno biologico… inteso… come menomazione dell’integrità psico-fisica in sè e per sè considerata, quale parametro certo, immediato e universale, dal momento che lo stesso evento lesivo produce un eguale pregiudizio alla persona per tutti gli esseri umani, con la conseguenza che il metodo di valutazione del danno deve tenere conto dell’insensibilità rispetto a profili reddituali… La tabella A annessa al T. U., come modificato dal D.P.R. n. 834 del 1981, non comprende, ovvero vi annette scarsa considerazione, i deficit funzionali degli organi interni, nè riporta patologie o condizioni comunque invalidanti che sarebbero state definite solo alcuni anni più tardi, come ad esempio l’infezione da HIV”

(Cassazione civile sez. lavoro, 4 maggio 2007, n. 10214).

(Sez- Civile Lavoro 04.05.2007 n° 10214) ha del tutto recentemente stigmatizzato tale impostazione

La struttura tabellare A e B prevede:

  • elenchi di patologie individuate dal legislatore quali cause di menomazione delle capacità lavorativa generica
  • suddivisi in due tabelle ed in fasce diversificate per gravita’ della menomazione della capacità lavorativa
  • le menomazioni individuate sono l’elemento costitutivo del diritto alla corresponsione della pensione e  dell’equo indennizzo (e di altri benefici)
  • i benefici previsti vengono corrisposti anche per tutte le menomazioni non indicate ma da ritenersi equivalenti a quelle tabellate

Tabella A

Tabella A

 

L’utilità della percentualizzazione è legata all’applicazione del criterio dell’equivalenza o della proporzionalità in caso di patologie non specificate nelle tabelle, in quanto l’elemento costitutivo del diritto alla concessione del beneficio pensione o dell’equo indennizzo è l’ascrivibilità  tabellare.

Riassumendo

L’oggetto della valutazione, nella formulazione del Legislatore, deve riguardare “le conseguenze sull’integrità fisica, psichica o sensoriale e sull’idoneità al servizio” (art. 2 comma 1 DPR n. 461/2001) per la causa di servizio, ovvero “una menomazione della integrità fisica o psichica o sensoriale” (art. 2 comma 4 DPR n. 461/2001) per l’equo indennizzo.

In realtà tale valutazione viene concretamente demandata a parametri valutativi utilizzati in passato e che appaiono oggi in tutta la loro insufficienza:

  • Tabelle A-B ex DPR 834/1981
  • Tabella E ex L. 656/1986
    • L’oggetto del danno nel sistema tabellare ABEF è la capacità lavorativa generica, entità assolutamente anacronistica in un panorama medico-legale incentrato sul danno biologico, parametro accolto anche dal Legislatore in ambito INAIL ormai da tempo
    • Sistema valutativo pensato per la pensionistica di guerra, fondato sulle perdite anatomiche (con voci ridondanti e spesso superflue) e sulla “motricità”, che ignora quasi totalmente gli esiti funzionali delle lesioni
    • Assenza  di riferimenti strumentali adeguati che permettano di graduare il danno (audiometria, timpanogramma, campimetria)
    • Assenza di distinzione tra arto dominante e non
    • Considerando i progressi della scienza medica, appare in tutta la sua inadeguatezza il doversi riferire a valutazioni legate a nozioni scientifiche di quasi trent’anni fa
    • Mancata considerazione di interventi chirurgici (sia per patologia benigna che maligna, esiti di trapianto) o di ausili protesici  (sostituzione di valvole cardiache, protesi per aneurismi vascolari, protesi ortopediche) tali da modificare radicalmente la prognosi quoad vitam e/o quoad valetudinem di determinate patologie
    • Totale assenza di riferimenti a lesioni o patologie dell’apparato genitale femminile
    • In molti casi valutazioni francamente eccessive pur tenendo conto dell’ottica di “privilegio”

L’esigenza di un intervento appare ormai innegabile: se non come radicale rifacimento nell’ottica del danno biologico delle tabelle annesse al DPR 834/1981, quantomeno sotto forma di un’attenta revisione delle stesse con modifica e aggiornamento degli aspetti più deficitari.