La tutela nella gravidanza: il parere dell’INPS

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Relazione del dott. De Trizio
Coordinatore Regione Emilia Romagna
Specialistica INPS

La legge 8 marzo 2000 n.53 ha rinnovato ed in parte modificato il corpus di varie leggi che si riferiscono alla maternità e paternità di lavoratrici e lavoratori a partire dalla L. 1204/71 in avanti; tali disposti normativi tutelano la donna durante la gravidanza e la maternità e garantiscono il diritto del bambino ad un’adeguata assistenza. Il D.Lgs n.151 del 26 marzo 2001 rappresenta il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’art.15 della Legge n. 53 del 2000 che ha in parte abrogato le normative precedenti.

Il congedo per maternità spetta a:

  • lavoratrici dipendenti (anche alle lavoratrici agricole, alle lavoratrici a domicilio, alle colf e alle badanti);
  • lavoratrici iscritte alla Gestione separata (es. lavoratrici a progetto, professioniste, ecc), che non siano titolari di pensione e non siano iscritte ad altre forme previdenziali:
  • lavoratrici autonome (coltivatrici dirette, mezzadre e colone, imprenditrici agricole, artigiane e commercianti).
  • padre, lavoratore dipendente, in casi particolari (decesso o grave malattia della madre, abbandono del figlio da parte della madre, affidamento esclusivo del bambino al padre).

Secondo la norma è proibito adibire al lavoro la donna lavoratrice in stato di gravidanza:

  • nei due mesi precedenti la data presunta del parto
  • nei tre mesi successivi alla data effettiva del parto (“astensione obbligatoria”)
  • nei periodi compresi tra la data presunta e la data effettiva del parto.

Durante questo periodo è previsto il pagamento di un’indennità sostitutiva della retribuzione. L’indennità economica pagata dall’Inps alle lavoratrici dipendenti è pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera percepita nell’ultimo mese di lavoro.

L’esame della certificazione sanitaria di malattia e maternità rappresenta uno dei compiti istituzionali dei medici dell’INPS che hanno la delicata funzione di accertare se nei singoli casi concreti sussistano i presupposti di ordine clinico-sanitario indispensabili affinchè, alla stregua delle norme vigenti, si considerino realizzati gli eventi protetti.

Per quanto riguarda l’evento maternità l’esame della relativa certificazione è teso al riscontro della sua rispondenza alle prescrizioni di legge, individuandoquei certificati di cui si renda opportuna la “regolarizzazione” secondo le specifiche norme esistenti in materia.

Particolare cura sarà posta, in sede di esame del certificato medico di gravidanza, ai dati sulla cui base viene determinata la data presunta del parto. A tal proposito non è superfluo ricordare che il periodo di gestazione normale dura mediamente 280 giorni, corrispondente a nove mesi più sette giorni, calcolati dal primo giorno dell’ultimo ciclo mestruale; ai fini della determinazione della data presunta del parto, dopo i primi mesi di gravidanza, oltre all’elemento relativo all’ultimo ciclo sono acquisibili dati obiettivi e strumentali che consentono di contenere eventuali errori di previsione in margini assai ristretti. Se da un lato variazioni di pochi giorni tra data presunta e data effettiva del parto sono da ritenersi fisiologiche, errori di un mese ed oltre, specie se ripetuti, non sono giustificabili.

L’art. 12 della legge 53/2000 ed oggi disciplinato dall’ art. 20 del D.Lgs. 151/2001, ha istituito la flessibilità del congedo di maternità.

Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità (ordinariamente 5 mesi), la flessibilità consente alla lavoratrice in gravidanza di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto (cioè dal 9° mese di gravidanza) fino ai quattro mesi successivi al parto, a condizione che il ginecologo del SSN (o con esso convenzionato) e, ove previsto, il medico competente preposto in azienda alla tutela della salute sui luoghi di lavoro, attestino che la permanenza al lavoro nel corso dell’8° mese di gravidanza non sia pregiudizievole alla salute della gestante e del nascituro.

Secondo quanto disposto dall’art. 16, D.Lgs. 151/2001, è fatto divieto al datore di lavoro di adibire al lavoro le donne a partire dai due mesi precedenti la data presunta del parto (ossia a partire dall’inizio dell’8° mese di gravidanza); a tal fine, l’art. 21, del citato decreto, prevede che la lavoratrice in gravidanza, prima dell’inizio del periodo “ordinario” di congedo, cioè entro la fine del 7° mese, consegni al datore di lavoro ed all’Inps, quale ente erogatore dell’indennità, il certificato medico attestante la data presunta del parto.

Pertanto, a partire dall’8° mese di gravidanza, la lavoratrice ha il diritto/dovere di astenersi dall’attività lavorativa, salvo che la stessa non abbia esercitato l’opzione per la flessibilità, comprovando tempestivamente (cioè sempre entro la fine del 7° mese) con onere a suo carico sia al datore di lavoro, ai fini del differimento dell’astensione, sia all’Inps, ai fini del correlativo diritto all’indennità, che, sulla base delle specifiche certificazioni sanitarie di cui al citato art. 20, la prosecuzione dell’attività nell’8° mese è compatibile con l’avanzato stato di gravidanza.

D’altronde, com’è noto, nell’ipotesi in cui la predetta compatibilità non fosse tempestivamente e sufficientemente provata per carenza di documentazione oppure per tardiva esibizione della stessa, il datore di lavoro che consentisse, comunque, la prosecuzione dell’attività da parte dell’interessata durante l’8° mese, incorrerebbe nella violazione di cui all’art. 16 del T.U. e, conseguentemente, nell’applicazione della sanzione di cui al successivo art.18 (arresto fino a sei mesi). Inoltre, sotto il profilo del trattamento economico, l’indebita permanenza al lavoro della lavoratrice determinerebbe la perdita del diritto all’indennità per le relative giornate e, in ogni caso, la non computabilità nel periodo post partum delle giornate medesime.

Tutto ciò premesso a far data dalla pubblicazione delle presenti disposizioni potranno essere accolte, ai fini del diritto all’indennità, possono essere accolte le sole domande di flessibilità alle quali siano allegate le certificazioni sanitarie che, sulla base delle indicazioni contenute nella circolare ministeriale n. 43/2000,rechino una data non successiva alla fine del 7° mese ed attestino la compatibilità dell’avanzato stato di gravidanza con la permanenza al lavoro fin dal primo giorno dell’8° mese. All’opposto, le domande di flessibilità cui siano allegate certificazioni sanitarie con data che va oltre la fine del 7° mese, devono essere integralmente respinte, considerato che, in base alle norme di legge ed alle indicazioni ministeriali, non appare compatibile con la ratio legis di assoluta tutela della salute della madre e del nascituro la fruizione “parziale” della flessibilità (ossia “per l’eventuale residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni” acquisite nell’8° mese).

Il periodo di flessibilità, quand’anche questa sia stata già accordata ai sensi delle disposizioni di cui alla legge n. 53/2000, può essere successivamente ridotto (ampliando quindi il periodo di astensione ante partum inizialmente richiesto), espressamente, su istanza della lavoratrice, o implicitamente, per fatti sopravvenuti. Tale ultima ipotesi può verificarsi  con l’insorgere di un periodo di malattia, in quanto ogni processo morboso in tale periodo comporta un “rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro” e supera, di fatto, il giudizio medico precedentemente espresso nella certificazione del ginecologo ed, eventualmente, in quella del medico competente. In tutte queste ipotesi la flessibilità consisterà nel differimento al periodo successivo al parto, non del mese intero, ma di una frazione di esso e cioè delle giornate di astensione obbligatoria “ordinaria” non godute prima della data presunta del parto, che sono state considerate oggetto di flessibilità (vale a dire quelle di effettiva prestazione di attività lavorativa nel periodo relativo, comprese le festività cadenti nello stesso)