L’ipertensione arteriosa costituisce un importante fattore di rischio per malattie
cardiovascolari e nefropatia. A tutt’oggi circa il 60% dei pazienti presenta un controllo non
ottimale della pressione arteriosa. All’interno di questa popolazione di soggetti ipertesi
“non a target”, esiste un sottogruppo di pazienti portatori della cosiddetta ipertensione
resistente. Vengono definiti “resistenti” quei pazienti che non rispondono o rispondono in
maniera insufficiente ad un trattamento con almeno tre farmaci antiipertensivi, compreso
un diuretico, a dosi ottimali ed in unione all’adozione di un adeguato stile di vita. La
prevalenza dell’ipertensione resistente varia dal 3% al 20% a seconda delle casistiche. La
vera resistenza va accuratamente distinta dalla pseudo-resistenza, oppure da cause di
ipertensione secondaria. I pazienti “veri” resistenti sono gravati da un rischio assai elevato
di danno d’organo.
Per tutti questi motivi, si è sentito il bisogno di nuovi approcci
terapeutici per questa categoria di pazienti ad alto rischio. Negli ultimi anni, nuove
acquisizioni riguardo la fisiopatologia dell’ipertensione resistente ed il riconoscimento
dell’importante ruolo del sistema nervoso simpatico hanno condotto allo sviluppo di nuove
opzioni terapeutiche tra cui la denervazione renale percutanea in radiofrequenza.
L’innervazione simpatica renale esercita un ruolo fondamentale nella patogenesi
dell’ipertensione attraverso la modulazione della secrezione di renina, del riassorbimento
tubulare del sodio e la regolazione della filtrazione glomerulare.
Storicamente, già negli anni Quaranta-Cinquanta del secolo scorso interventi sulla
innervazione renale attraverso la cosiddetta simpaticectomia dorso-lombare avevano
comportato una marcata riduzione della mortalità per ipertensione maligna, miglioramento
delle funzioni cardiaca e renale, e ridotta incidenza di accidenti cerebro-vascolari, a costo
tuttavia di effetti collaterali seri. Nel 2009 venne pubblicato il primo lavoro che riportava
l’efficacia e la tollerabilità della denervazione renale ottenuta non chirurgicamente ma per
via percutanea in un gruppo di ipertesi resistenti, usando un catetere connesso ad un
generatore di energia in radiofrequenza ed inserito nell’arteria femorale fino a raggiungere
le arterie renali bilateralmente, con multiple erogazioni di RF applicate in maniera
circumferenziale ad ogni singola arteria renale. Quello studio dimostrava un calo
significativo della PA ad un anno, con un unico incidente di dissezione dell’arteria renale
risolto mediante procedura di stenting. Questi primi risultati venivano poi confermati da un
trial prospettico e randomizzato ed un terzo successivo lavoro non soltanto confermava
una diminuzione della PA, ma evidenziava anche un favorevole effetto della denervazione
renale su alcuni parametri del metabolismo glucidico. Un ulteriore lavoro, oltre ad una
diminuzione della PA, dimostrava una significativa riduzione dell’ipertrofia ventricolare
sinistra. Recentemente, anche il nostro gruppo ha pubblicato i risultati preliminari di tale
tecnica praticata nel nostro Ospedale in collaborazione con i Cardiologi Interventisti.
Con questo lavoro presentiamo i dati relativi alla attuale casistica di pazienti affetti da
ipertensione arteriosa resistente, provenienti dal “mondo reale” e non da quello dei trials,
allo scopo di valutare su un numero di soggetti più ampio e con follow-up più prolungato
l’efficacia e la sicurezza di questo nuovo approccio terapeutico per l’ipertensione arteriosa
resistente.